Diceva Pessoa, ciò che ci
sconfigge, che ci annichilisce, che ci rende impotenti e fragili sta celebrando
la vittoria della nostra essenza… La crisi, quindi come momento di
cambiamento e di evoluzione di un sistema vivente.
Tuttavia occorre fare una
distinzione tra crisi e degrado involutivo. La crisi diventa la perdita di
equilibrio di un sistema vivente, in questo caso il sistema “vivente uomo”. Nel
degrado, invece, vi è l’abbassamento di funzionamento del sistema, quindi un
depauperamento della personalità e dello scambio materia energia con
l’ambiente. L’individuo in degrado assume un aspetto e una connotazione a tinta
depressiva: la trascuratezza non è un segnale di diversità o di cambiamento ma
l’incapacità a prendersi cura di se stessi e di relazionarsi con il mondo e con
la realtà. Non di rado le persone che scivolano nel degrado, hanno alle spalle
una storia familiare difficile con
rapporti genitoriali oppressivi e
violenti , scelgono stili di vita ideologici lontani da vere responsabilità
sociali, lavorative ed affettive e vivono un po’ ai margini del sociale con
coperture di moda di tipo alternativo anche new-age che fanno da coperta
superficiale dello stato depressivo profondo. Confondono la mentalizzazione-idealizzazione
con gli stati di coscienza. Spesso può
anche associarsi a questo stato l’uso di strumenti da “sballo” per colorare in
maniera anticonformista una posizione di perdita di capacità di confronto.
Nella cultura giovanile la ricerca del degrado può essere un’esperienza di
conoscenza e come tale viene metabolizzata nel processo di crescita
adolescenziale, il degrado di fatto ha un suo fascino e come tale suggestiona e
crea sistemi di pensiero idealizzanti e libertari. Superata la soglia
adolescenziale siamo alla ricerca anacronistica del “tempo perduto”: il tempo
passato non vissuto si sostituisce all’incapacità di vivere il tempo presente.
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